Allora non vedi ancora il problema di/del chiamare il siciliano [...] Questo a me/mi sembra MOLTO BRUTTO.
Guarda, che una parlata (lingua o dialetto o gergo che sia) sparisca o meno, molto difficilmente credo avvenga per scelta di qualcuno o per qualche politica decisa a tavolino. Le parlate, immagino anche tu ne convenga, sono di fatto in continua evoluzione. Sul fatto che il siciliano (i siciliani...) si estingua, non mi preoccuperei troppo. Mi ricordo d'aver letto studi interessanti che ritrovavano nei dialetti appenninici attuali molti elementi ereditati dalle parlate osco-umbre pre-latine. Ossia, secoli di latinizzazione non avevano cancellato le peculiarità locali. Sono cose che restano - cambiano, ma restano nel fondo.
Poi c'e' un dialettologo siciliano che leggo spesso che dice che "il siciliano e' un dialetto com'era il toscano [...] se il siciliano avesse avuto la stessa fortuna verrebbe invece chiamato lingua? Ma che senso ha? La politica nella linguistica non ci dovrebbe entrare niente.
Come la vedo io, tra dialetto e lingua non si può trovare differenze scientifiche. Non è che una parlata sia definibile lingua o dialetto se presa a sé. La lingua è una parlata che - per motivi storici, generalmente economici o politici, ma anche religiosi... - ha assunto un'importanza, un ruolo ed una diffusione che le hanno permesso di diffondersi oltre il suo (eventuale) originario bacino di parlanti. Ed è una parlata che per compiere questo processo, diventare uno strumento che persone abituate a parlare altrimenti possano adottare come bene comune, ha bisogno di regole certe e piuttosto rigide, di venir cioè codificata.
L'italiano è stato appunto creato quasi a tavolino da generazioni e generazioni di letterati che hanno basato sul toscano (la parlata volgare in cui erano stati scritti i più recenti e popolari capolavori) i lro sforzi per arrivare ad una lingua comune per tutte le popolazioni che usavano una serie di parlate piuttosto simili tra loro per caratteristiche intrinseche (grammatica, vocabolario, sintassi, pronuncia...) e che si sentivano culturalmente parte di un qualcosa che invece politicamente non esisteva (più o ancora): l'Italia.
I poeti siciliani alla corte sveva avevano già avviato il processo, e appunto se il regno di Sicilia non fosse caduto, magari il siciliano avrebbe avuto nel processo di formazione dell'italiano un ruolo maggiore, chissà.
Sul legame tra parlate e politica, scusami ma non sono per niente d'accordo: guarda cosa è successo in Iugoslavia. Serbo e croato venivano definiti varianti locali di un'unica lingua, il serbocroato. Dopo l'indipendenza, logicamente, i croati hanno rivendicato lo status di lingua autonoma, attingendo al dialetto di Zagabria per differenziare maggiormente la propria parlata da quella serba. Se, per spinte localistiche, ad esempio (senza la minima offesa o irrisione) Rieti volesse fare uno stato a sé, sicuramente creerebbe a lingua nazionale la parlata locale per differenziarsi. La lingua è politica. Anche dove la scienza (o il buon senso) non trovano differenze di peso, la politica a volte è intervenuta a cambiare le cose.
Ma questa scusa non va perche' il sardo viene chiamato una lingua [...] citazione suddetta?!?
Il sardo viene considerato una lingua e non un dialetto italiano (e non "un dialetto dell'italiano"), come anche il ladino e spesso il friulano, per motivi linguistici, e non politici: la grammatica sarda, ad esempio, è molto diversa da quella italiana. Il sardo possiede alcune caratteristiche (il plurale in -s, ad esempio) che lo avvicinano all'area neolatina occidentale (portoghese, spagnolo, catalano, francese, provenzale...) - mentre le parlate italiane, con quelle rumene, appartengono al gruppo orientale.
Con "dialetto siciliano" si intende che il siciliano e' un dialetto della lingua nazionale? Ma credo di no perche' sarebbe assurda quest'affermazione cosi'. Il siciliano non e' derivato del toscano (l'italiano) ma invece del latino come tutte le altre lingue romanze. Quindi che differenza c'e' tra il siciliano e il sardo che per cui il sardo [...] E come mai la distinzione?
Come dicevo prima, non parlerei di "dialetti dell'italiano", ma di "dialetti italiani". I dialetti non derivano dall'italiano, su questo siamo d'accordo. Ma motivi linguistici (comunanza o vicinanza strutturale delle parlate), storico-culturali e politici hanno fatto sì che la gente (i letterati) dell'area italiana abbiano deciso di identificarsi in una lingua comune, che si è andata elaborando su una base toscana, e che ha preso il ruolo di lingua ufficiale, sclazando a poco a poco le parlate locali ed impedendo loro di diventare lingue. Come forse saprai, a Napoli e Venezia fino al XVIII e XIX secolo la parlata locale era usata anche in certi documenti scritti ufficiali. Stava, insomma, diventando una vera lingua. Ma nella cultura anche di Napoli e Venezia il sentire dominante era che la vera lingua nazionale fosse l'italiano comune, fondato su Petrarca e Boccaccio, un crogiuolo a base di vernacolo dantesco ma pesantemente raffinato durante l'Umanesimo e ripulito con ampio ricorso al latino.
Per il sardo non sto a ripetere la mia opinione.
Hai detto [...] Ma poi allora spiegami come mai "la lingua sarda"?? Non e' lingua nazionale neutrale? Come mai?
Il sardo è linguisticamente separato dalla famiglia dei dialetti da cui è nato l'italiano comune. Ma ciononostante, per motivi politici (imposizione forzata), economici (comodità) e culturali (scelta di appartenenza) i sardi oggi usano l'italiano come lingua (usi ufficiali, comunicazione tra sardi in ambienti formali...) e il sardo (i sardi: le non-lingue raramente vengono formalizzate in un'unica variante) come dialetto. Non so se mi sono spiegato. Se la Sardegna fosse stata indipendente, magari avrebbe creato dalle parlate sarde una vera lingua, usata in tutte le funzioni della lingua ufficiale (guarda un po' al catalano) - per scelta politica. Questo magari sarebbe valso pure per la Sicilia, o Rieti - una scelta politica. Ciò non cambia il fatto che la distanza linguistica tra sardo e parlate italiane sia (linguisticamente) molto maggiore che non quella delle parlate siciliane.
Io capisco quello che dici/hai detto e tu avresti ragione se non fosse per il sardo. L'italiano e' una lingua neutrale, non e' la lingua naturale di nessuna regione o citta' d'Italia mentre il siciliano si' (la Sicilia assieme a certe zone della Calabria e della Puglia). Ma non e' vero perche' il sardo viene chiamato lingua e non e' una lingua ne' neutrale ne' nazionale ma e' invece regionale come il siciliano. Mah!? Percio' io dico pure "lingua siciliana". Noi siciliani dobbiamo difenderci la lingua senno' muore.
Vedi, non credo che tu possa parlare né di "lingua siciliana" né di "siciliano". Né da un punto di vista funzionale, che è una scelta diciamo "politica" (in tutta la Sicilia, le funzioni di lingua vengono svolte dall'italiano - tutti sanno che devono o dovrebbero usare l'italiano negli ambiti formali: è questa consapevolezza che rende l'italiano la loro lingua), né da un punto di vista linguistico (le parlate siciliane fanno parte di quella famiglia da cui nacque l'italiano). Su quanto sia lingua il sardo, ti ho già detto come la penso.
La lingua è tale in buona parte per sua funzione (scelta), non per sue caratteristiche (intrinseche): se gli irlandesi, che pure conoscono il gaelico, si mettono a parlare inglese in ogni occasione formale, in pratica riducono il gaelico (che pure linguisticamente è del tutto distinto dall'inglese) ad un ruolo di dialetto... non basta che la parlata naturale abbia una propria identità per garantirle lo status di lingua, no?
Se parliamo di patrimonio culturale da proteggere, allora d'accordo. Devo dire che non sono molto convinto della bontà delle politiche di protezione delle lingue regionali, perché spesso sfociano in artificiosità eccessive. Le lingue devono vivere, non le si può congelare, neanche per salvarle. Tutto cambia, anche il "siciliano" cambia. Ma fintanto che avrà una sua utilità, una sua nicchia d'uso, allora non scomparirà. Lo stesso vale per le lingue nazionali a fronte di lingue "imperiali" come l'inglese oggi: guarda al latino, o all'arabo, o al cinese, o al francese in Africa. Non hanno mai soppiantato completamente le parlate locali presso le popolazioni indigene, neanche dopo secoli di colonizzazione.
Non e' questione di politica...
Ti ho illustrato il mio punto di vista. Direi che la Carta europea cerchi di basare la propria discriminazione su criteri linguistici - nel qual caso il sardo (le parlate dell'area sarda) sarebbe una lingua a sé (regionale in quanto la Sardegna non è stato a sé), ed il siciliano no.
Come avrai notato, anch'io sono tra quelli che dicono che la lingua può essere un dialetto con sostegno politico/istituzionale (cfr. il croato), ma può anche essere un non-dialetto, nato e cresciuto fuori e prima di istituzioni comuni, come l'italiano.
Certo, a contrario, credo che nessuna parlata che manchi di sostegno politico (anche informale) possa essere una lingua (funzionale), qualunque sia il suo status secondo la linguistica (guarda le parlate tribali in giro per il mondo...).
Direi di aver detto più o meno tutto, spero di esser stato chiaro.
Ti prego di spiegarmelo per favore. Grazie in anticipo